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Nutriceutici e alimenti funzionali nel pet food: miti e verità

Ormai diverse settimane fa vi avevo proposto sul blog questa nuova categoria di articoli dedicati al Pet Food: la mia curiosità era tanta perché soprattutto su Instagram, molti di voi avete potuto capire quanto io ami gli animali (ne ho tre, due gatti, uno nero Rupert e la sua sorellina grigia Greta detta anche Grace e un bassottino chocolate D’Artagnan di 6 mesi, arrivato a casa per provare a colmare almeno un po’ il grande vuoto che ha lasciato Cassiopeo, il mio bau, un pezzetto di me) e di conseguenza avete incominciato a scrivermi in direct per farmi domande sull’alimentazione dei vostri amici a quattro zampe.
Io ne sono stata da subito felicissima ma, per rispondere correttamente serviva il supporto di un dottore che ne sapesse davvero su tutto quello che riguarda il mondo dei pets e della loro alimentazione.
Da qui è nata questa categoria di articoli dedicata al Pet Food e di conseguenza è partito il mio interesse a vedere se anche sul blog, e non solo su Instagram, il vostro interesse per la materia fosse davvero alto.

Con piacere ho potuto constatare che avete apprezzato e quindi, nel frattempo ho cercato di studiarmi un piano redazionale in collaborazione con la nostra dottoressa Alessia Candellone e con il supporto di tutta la clinica veterinaria CVTrivoli: dopo questo piccolo giro di prova vi assicuro che seguiranno tantissimi articoli di approfondimento e tante novità divertenti e utili sul mondo del Pet Food e più in generale dei nostri amatissimi amici a 4 zampe.
Oggi per esempio, vi propongo un articolo che vuole fare da introduzione ad un argomento molto importante ovvero i nutriceutici e gli alimenti funzionali da inserire all’interno della dieta dei pets.
Ragionando con la dottoressa Alessia, abbiamo capito che in molti, anche in clinica chiedete spesso se sia utile o meno integrare la dieta del vostro 4 zampe con nutriceutici di vario genere.
Ecco quindi questo primo articolo che introduce l’argomento in modo simpatico e curioso così come ce lo ha proposto la dottoressa Alessia Candellone.
Spero possa piacervi…vi lascio alla sua lettura e vi invito a non perdervi i prossimi articoli.
Se volete poi essere sicuri di rimanere sempre aggiornati senza perdervi nessun articolo delle varie categorie vi suggerisco di iscrivervi alla Newsletter del blog seguendo questo link diretto in modo da ricevere ogni settimana tutti i nuovi articoli da leggere comodamente con un semplice “click”.

Ecco come la dottoressa Alessia ha deciso di iniziare a parlarci dei nutriceutici…
“Non conservo ricordi nitidi dell’infanzia: non ricordo ad esempio i nomi di molti dei miei compagni di asilo, non ricordo il giorno in cui ho imparato ad andare in bicicletta senza rotelle o ad allacciarmi autonomamente le scarpe stringate, ma ci sono due elementi che sono sopravvissuti alla fugacità della memoria…la convinzione che da grande avrei fatto il veterinario ed il sapore degli gnocchi di spinaci cucinati da mia nonna.

Appartengo infatti a quella generazione che ha avuto il privilegio di incespicare verso l’età adulta supportata dalla mano sicura dei nonni. Mano ora tesa a fornire un appiglio, ora ridotta ad un solo dito disteso a fungere da monito, ora intenta ad amalgamare ingredienti tra loro per cucinare un lauto e nutriente pasto.
La specialità di mia nonna paterna, nonna Maria, erano i sopracitati gnocchetti di spinaci e ricotta.
Venivano preparati ogni giovedì sera ed accompagnati da una spolverata di parmigiano grattugiato e dalla affermazione “mangia bambina mia, che diventi forte come Braccio di Ferro”.
Nonna Maria, infatti, non era rimasta indifferente di fronte alle vignette di Segar in cui il marinaio Popeye, assumendo spinaci in lattina, riusciva ad aumentare la propria forza: forza che sembrava accrescersi come conseguenza dell’assunzione degli alti tenori di ferro contenuti in tale ortaggio.
La ragione per cui la sottoscritta, però, nonostante l’assunzione settimanale di elevate quantità di spinaci, non abbia sviluppato nel corso dell’adolescenza masse muscolari elevate è rimasta un mistero… finchè non sono diventata un veterinario nutrizionista!

“Dove ha sbagliato mia nonna? E’ stato un errore di dose o di frequenza di somministrazione?” sono solo alcune delle domande che mi sono posta quanto ho iniziato a condurre la mia attività di ricerca nell’ambito della nutraceutica e dei cosiddetti “cibi funzionali”, cui molti frutti ed ortaggi afferiscono.
In realtà, lo sbaglio commesso dalla mia progenitrice è stato in primo luogo un errore di attendibilità della fonte di informazione.
La convinzione che gli spinaci contengano elevati livelli di ferro è infatti errata e deriva da una svista di alcuni ricercatori tedeschi impegnati nella misurazione delle caratteristiche nutrizionali di alcuni alimenti verso la fine dell’800. Nel trascrivere i dati relativi al contenuto in ferro degli spinaci, infatti, i succitati studiosi commisero un errore “decimale”, trasformando i 2,9 mg/100 gr di sostanza edibile effettivamente presenti in 29 mg/100 grammi! L’errore di trascrizione passo’ inosservato fino al 2010, anno in cui il “mito di braccio di ferro” venne finalmente sfatato.

Ho voluto condividere con voi lettori questo aneddoto personale per dimostrarvi come uno degli aspetti più importanti per chi si occupa di nutrizione clinica sia la scientificità delle fonti di informazioni sulle quali basare le proprie osservazioni e riflessioni future.
La nutrizione e la nutraceutica (scienza che studia le proprietà preventive o terapeutiche di alcuni alimenti) rappresentano infatti materie scientifiche e come tali basano le loro affermazioni sulla cosiddetta “evidence based medicine” ovvero la medicina basata sulle evidenze.

E non sulle opinioni.

Per poter rispondere in modo scientificamente adeguato alla domanda “ma posso dare questo determinato alimento od integratore al mio cane od al mio gatto” è necessario infatti sapere se qualcuno, prima di noi, si sia già posto tale quesito dimostrando, con dati e prove attendibili, che tale alimento od integratore contenga un principio biologicamente attivo capace di interagire con questo o quel recettore, che la quantità di tale principio attivo (ovvero la dose) nel mio alimento sia sufficiente a determinare l’effetto voluto e che, soprattutto, non sia in grado di esercitare effetto tossico. Ultimo, ma non per importanza, devo poter stabilire una connessione certa e facilmente identificabile tra assunzione dell’alimento o dell’integratore e risultato clinico.

L’approccio P.E.T.S. (acronimo inglese della parole quality of Products, Efficacy, Tolerability e Safety) rappresenta il metodo scientificamente riconosciuto per replicare adeguatamente a tale quesito.
Nel corso delle prossime settimane vi forniremo alcuni esempi pratici circa l’impiego di tale approccio ed analizzeremo le verità scientifiche dietro l’utilizzo di alcuni nutraceutici od alimenti funzionali “di moda”.


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